"il counseling in adolescenza" di elena copelli

L'adolescenza si configura come una fase della vita complessa, eterogenea, caratterizzata da importanti cambiamenti e acquisizioni cognitive, affettive e socio-relazionali.

 

La letteratura in proposito (Palmonari, 1997; 2001; Pietropolli Charmet, 2000) propone come concetto cardine attorno a cui strutturare l’analisi dello sviluppo in adolescenza, quello di developmental task o compito di sviluppo.

Tutto il ciclo di vita dell’individuo è costellato da compiti e sfide che devono essere affrontati e risolti nella maniera più funzionale e adattiva allo scopo di favorire lo sviluppo e l’adattamento dell’individuo al proprio ambiente. Se questo non avviene nei tempi e nei modi adeguati, lo sviluppo e il benessere dell’individuo sono potenzialmente compromessi.

Una lettura recente dei compiti di sviluppo propone l’analisi degli stessi in relazione allo stretto rapporto esistente tra individuo, ambiente e appartenenza socio-culturale (Palmonari, 2001). Nelle società occidentali i compiti di sviluppo specifici della fase adolescenziale investono potentemente tutte le aree di sviluppo salienti per l’individuo: corpo, cognizione e metacognizione, affettività, emozioni, relazioni, identità (Erikson, 1968).

 

Risulta evidente da questa breve disamina che i compiti evolutivi sono potenzialmente portatori di benessere e adattamento psicosociale così come di disagio e malessere a seconda delle modalità e delle strategie che l’adolescente adotta per affrontarli.

Il disagio adolescenziale, concordemente alla letteratura sia in ambito psicodinamico sia psicosociale, trae origine dalle difficoltà e dal dolore mentale che l’individuo sperimenta nel dover affrontare queste sfide evolutive così importanti e decisive per i successivi processi di sviluppo. La messa in atto di strategie di fronteggiamento e di coping facilmente accessibili ma potenzialmente dannose e pericolose per la salute e il benessere, come ad esempio l’uso di sostanze e l’alcool, i comportamenti aggressivi, o la guida spericolata, possono compromettere l’adattamento dell’individuo ai suoi contesti di vita e la possibilità per lui di apprendere altre strategie maggiormente costruttive e protettive (Bonino, Cattelino e Ciairano, 2007).

 

L’attività di counseling rivolta agli adolescenti si inserisce proprio in questo frangente, e, nello specifico, allo scopo di evitare che un momento di crisi o di stallo evolutivo si trasformi in una vera e propria stagnazione (Hendry & Kloep, 2003) o in quello che Pietropolli Charmet (2000) definisce “scacco evolutivo”. Il counseling si pone l’obiettivo di evitare la paralisi delle competenze adattive dell’individuo e la cristallizzazione di un’identità negativa, favorendo al contrario l’esplorazione e l’attivazione di modalità costruttive e adattive di fronteggiamento dei compiti di sviluppo (Maggiolini, 1997).

 

Articolo Consigliato: L’adolescenza ai tempi della crisi

Secondo Pietropolli Charmet (2000), “nel caso dell’adolescente non è il tipo di patologia a rappresentare una controindicazione all’analisi, ma è la fisiologia stessa dello sviluppo adolescenziale a costituire una controindicazione, in quanto è la parte sana dell’adolescente a rifiutare la regressione, la dipendenza, l’intrusività dell’adulto, per quanto benevolo, e a cercare nell’azione una soluzione del conflitto e non nella parola”.

Il colloquio con l’adolescente da parte di un professionista quindi può funzionare solo se ci si allontana da una domanda di cura e da un’idea di malattia; l’adolescente deve essere considerato non come paziente ma come una persona che ha un problema e che, sulla base di una libera scelta, decide attivamente di parlarne con una persona competente (Maggiolini e Pietropolli Charmet, 2004).

Seguendo queste premesse, il counseling si configura dunque come la modalità ideale di colloquio e di ascolto con l’adolescente, in quanto è un intervento breve nel tempo, che riconosce all’adolescente un ruolo attivo, che presuppone un rapporto alla pari con l’adulto e che promuove le capacità decisionali e relazionali.

In Italia, si assiste da qualche decennio alla costituzione e all’ampliamento di spazi di ascolto per adolescenti non solo all’interno di luoghi istituzionali come la Scuola e i Servizi socio-sanitari, ma anche, e sempre più frequentemente, in contesti di natura informale ed aggregativa, come i centri di aggregazione giovanile, gli oratori o i progetti di educazione di strada e territoriale. Questi spazi di ascolto si sono progressivamente sviluppati e hanno sempre più abbracciato un’idea di prevenzione olistica, in grado di intercettare e affrontare tutte le forme e le sfaccettature del disagio adolescenziale. Non solo quindi la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e l’informazione sulla contraccezione, obiettivi centrali dei primi CIC (Centri di Informazione e Consulenza, predisposti a norma di legge in Italia per la prima volta con il “Testo unico delle Leggi in materia di disciplina degli stupefacenti, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza” – DPR 309/90) negli anni 90 in risposta all’emergenza delle infezioni da HIV, ma anche la prevenzione dell’uso di tabacco, alcol e sostanze stupefacenti, la guida sicura, l’accettazione del proprio corpo, la promozione delle competenze socio-relazionali, il benessere in famiglia, a scuola e con i coetanei.

Le richieste e le domande che gli adolescenti pongono agli adulti competenti sono molteplici e abbracciano indistintamente tutte le aree che per loro sono emotivamente e cognitivamente salienti: il proprio corpo, la famiglia, la scuola, le relazioni con i coetanei del proprio e dell’altro sesso (Maggiolini, 1997; Fuligni e Romito, 2002; Maggiolini e Pietropolli Charmet, 2004). L’obiettivo principe del counseling è tuttavia trasversale alle diverse richieste: fornire agli adolescenti strumenti e strategie di coping per fronteggiare difficoltà relative ai compiti di sviluppo prima dell’insorgere di un vero e proprio disagio, facilitando cambiamenti nel comportamento e migliorando le capacità di relazioni interpersonali.

Pietropolli Charmet (2000) rintraccia nella consultazione con l’adolescente diverse richieste che quest’ultimo avanza all’adulto; secondo l’autore, il colloquio è un momento importante in cui l’adolescente chiede simbolicamente all’adulto il permesso di abbandonare le vesti infantili e di nascere socialmente e pubblicamente come persona che sta crescendo: “Quando gli adolescenti vengono a chiedere una consultazione è come se, metaforicamente, chiedessero il permesso di crescere o chiedessero scusa di non averlo ancora fatto, o di essere messi alla prova per verificare le loro capacità di stare ai patti. È come se l’adulto competente rappresentasse agli occhi dell’adolescente una sorta di protesi mentale per valutare realisticamente come stiano le cose […]. Spera di intercettare un allenatore che sa quali siano i percorsi per rifornirsi delle competenze necessarie a realizzare gli obiettivi”.

 

Il counseling si configura a questo proposito come un efficace strumento di prevenzione in adolescenza (Maggiolini, 1997; Di Fabio, 2000; Martellucci e Spaltro, 2006), in quanto è in grado di rilevare precocemente sintomi di disagio o malessere psicologico e psicosociale, consente di indagare la trama di fattori di rischio e di fattori protettivi per ogni singolo soggetto e permette di incrementare e perfezionare nell’adolescente quelle competenze socio-cognitive e di coping mediante cui affrontare tale disagio e superarlo efficacemente.

Dal punto di vista epistemologico e teorico assumono più che mai importanza i concetti di empowerment, autoefficacia, locus of control e coping, centrali nelle più recenti formulazioni teoriche di stampo socio-costruzionista e negli interventi di prevenzione in ambito psico-sociale. Come bene evidenziano Martellucci e Spaltro (2006) questi concetti esprimono in termini operativi “il potenziamento del senso di padronanza e di controllo sulla propria vita attraverso la conoscenza di sé, dei propri punti di forza, ed anche la conoscenza dei vincoli e delle opportunità offerti dalla famiglia, dal gruppo classe, dalla scuola e dalla comunità territoriale più ampia”.

Il concetto di self-empowerment esprime la capacità di percepirsi come potenzialmente in grado di mobilitare risorse personali per fronteggiare in modo adeguato i problemi, di sentirsi competenti e consapevoli del legame esistente fra le azioni e i risultati ottenuti (Zani e Cicognani, 2000). I fattori che potenziano la percezione di empowerment sui quali è necessario fare leva in sede di colloquio d’aiuto, sono secondo Martellucci (2005), il locus of control interno, la hopefulness, l’autostima e la percezione di autoefficacia. L’autoefficacia percepita (Bandura, 1995) è intesa come la percezione che la persona ha di essere in grado di portare a termine un compito e la consapevolezza di avere aspettative realistiche circa le proprie possibilità di successo in una data situazione problematica. Favorire e potenziare il senso di autoefficacia in adolescenza, mediante attività di counseling significa rendere i ragazzi consapevoli delle proprie potenzialità e maggiormente preparati a mettere in campo le competenze adeguate per affrontare con successo le sfide di sviluppo, attivando strategie di protezione verso i comportamenti a rischio (Bonino, Cattelino e Ciairano, 2003) e favorendo attivamente resilience e adattamento.

 

 

(Dott.ssa Elena Copelli)