"Ben-essere integrato" di francesca sacchelli

Il ben-essere di ispirazione umanistica rogersiana

 

“Se una persona si trova in difficoltà, il modo migliore di venirle in aiuto non è quello di dirle esplicitamente cosa fare, quanto piuttosto di aiutarla a comprendere la situazione e a gestire il problema facendole prendere, da sola e pienamente, le responsabilità delle proprie scelte e decisioni. Gli individui hanno in se stessi ampie risorse per auto- comprendersi e per modificare il loro concetto di sé.” (C. Rogers). Questo in sintesi il counseling umanistico di Carl Rogers, attraverso le sue parole. Il counseling di Carl Rogers prende forma dall’assunto centrale che il cliente “sa di più”. È il cliente che sa quello che lo sta facendo soffrire ed è sempre il cliente a sapere qual è il passo successivo da compiere: insomma, l’esperto del problema è la persona che ce l’ha. Rogers era così convinto di questa sua fondamentale e rivoluzionaria intuizione che all’inizio chiamò il suo modo di lavorare “counseling non direttivo”, sottolineando in questo modo come il compito del counselor sia quello di mettere in grado il cliente di entrare in contatto con le sue stesse risorse interiori piuttosto che consigliarlo o influenzarlo circa la direzione da prendere. Questo perché le persone sane sono ritenute per loro natura capaci di comportarsi in maniera efficace, capaci di darsi degli obiettivi. Esse non rispondono passivamente all’influenza dell’ambiente o alle proprie pulsioni interiori e sono in grado di compiere scelte autonome. Esse diventano inefficaci solamente quando interviene un apprendimento errato. Il counseling di Carl Rogers è connotato da un forte ottimismo: ogni essere umano contiene in se stesso le condizioni potenziali di una crescita sana e creativa. La mancata realizzazione di tali potenzialità è dovuta alle influenze familiari, scolastiche e sociali limitanti, ma ogni condizionamento negativo può essere vinto se l’individuo è disposto ad accettare la responsabilità della propria vita. Quando invece le persone non si preoccupano eccessivamente delle valutazioni, delle esigenze e delle preferenze altrui, l'esistenza risulta guidata da una tendenza innata all’autorealizzazione. Le persone possono essere capite solamente partendo dalle loro percezioni e dai loro sentimenti, ossia dal loro mondo fenomenologico. Per capire un individuo è necessario concentrare l’attenzione non sugli eventi che egli esperisce, ma sul modo in cui li esperisce, attraverso l'ascolto attivo ed empatico. Dunque il counseling di Carl Rogers suggerisce che i facilitatori della relazione di aiuto hanno bisogno di comunicare tre qualità di base affinché la relazione d’aiuto sia efficace ed abbia un esito positivo tanto da ottenere un cambiamento significativo nel cliente. La prima è l’empatia, che secondo Rogers è la capacità di sperimentare il mondo di un’altra persona come se fosse il proprio, ma senza mai perdere quella qualità del “come se”. Il secondo tratto di aiuto considerato essenziale è l’accettazione incondizionata del cliente per quello che è, per la sua unicità ed individualità, l'assenza di giudizi. L’ultima qualità che il counselor dovrebbe avere è la genuinità, ossia la capacità di aprirsi spontaneamente nella comunicazione col cliente, in modo da essere sempre autentico nell’esprimersi. Per Rogers bisogna essere capaci di entrare in un rapporto intensamente personale e soggettivo con il cliente, non in un rapporto come quello tra scienziato e oggetto del suo studio o fra medico e diagnosi e cura, ma in una relazione da persona a persona. E' la relazione in sè, la qualità di questo scambio, a creare le condizioni facilitanti per il processo di crescita e cambiamento favorevole desiderato.

 

Il ben-essere di ispirazione fenomenologica gestaltica

Nell’approccio fenomenologico della Gestalt il miglioramento della qualità della vita passa attraverso tre domande principali: cosa senti?- cosa pensi?- cosa vuoi? Da questo punto di vista, in un percorso di counseling, occorre in primo luogo aiutare il cliente a riconoscere e nominare le proprie emozioni: ogni emozione ha un significato particolare per la persona in ordine ai propri bisogni e desideri. In secondo luogo, attraverso un processo di concentrazione e consapevolezza di sè e dei propri schemi di pensiero, di valutazione e mediazione, la persona può immaginare e progettare delle strategie alternative e più efficaci di fronteggiamento della situazione, trasformando pensieri ripetitivi e/o “bloccati” in opportunità di cambiamento positivo. In terzo luogo, durante l’esperienza di ampliamento del ventaglio delle alternative possibili, è importante che la persona riesca ad operare delle scelte di azione nella propria quotidianità, effettuando cambiamenti concreti in ordine al problema di cui sta facendo esperienza. La finalità è quella di sostenere la persona affinchè possa aiutarsi da sè, trovando e sperimentado un nuovo e migliore equilibrio tra pensieri, emozioni ed azioni, così da modulare e integrare fra loro questi aspetti in modo personale e funzionale al proprio ben-essere. Da questa prospettiva, basata sui tre elementi cardine del "qui e ora", della consapevolezza e della responsabilità e dove viene sottolineata l'unità della persona e il suo rapporto con l'ambiente, nel counseling viene stimolata la presa di consapevolezza su ciò che sta accadendo proprio "qui e adesso" e si aiuta il cliente a divenire più consapevole del senso che il suo disagio può avere nella sua vita, nella relazione e nel contatto con gli altri. Si lavora per lo sviluppo della responsabilità personale del cliente che è la sua propria personale capacità di rispondere (respons-ability), a modo suo, a ciò che gli accade. F. Perls sosteneva che noi siamo quel che siamo e che non possiamo fare a meno di essere quel che siamo. Questa affermazione che sembrerebbe suonare come una specie di sentenza è da intendersi nel senso che in definitiva siamo condannati ad essere uomini liberi. Ma se siamo quel che siamo e non possiamo fare a meno d essere quel che siamo, che bisogna fare quando sperimentiamo il dolore? Quando soffriamo interiormente? Quando abbiamo paura o ci troviamo in difficoltà? Dobbiamo forse rassegnarci perché le cose stanno così e non si può cambiarle? Semplicemente bisogna osservare, lasciar scorrere ed accettare che ciò accada o piuttosto bisogna darsi da fare per cambiare? In realtà occorre agire e dunque "lavorare" per un miglioramento, ma anche accettare che l'esperienza critica accada e passi, riconoscendo alla situazione di malessere anche una sua utilità e scopo evolutivo, ricordandoci il diritto ed il dovere di essere ciò che siamo. Paradossalmente, e al pari di quanto sostenuto anche nell'approccio umanistico di Rogers, accettare il disagio è una via per il suo superamento: il cambiamento avviene quando si diventa ciò che si è e non quando si cerca di diventare ciò che non si è.

(Dott.ssa Francesca Sacchelli)