"I cicli della gestalt"

In Gestalt si ritiene che la persona abbia la tendenza naturale od organismica a regolare il Sé in modo tale da mantenere un equilibrio tra la gratificazione del bisogno e l’eliminazione della tensione. Nella crescita sana dell’individuo l’esperienza fluisce ininterrottamente nell’alternanza di figura sfondo dei bisogni. Un bisogno emerge, viene soddisfatto, si dissolve, torna sullo sfondo per lasciare spazio ad un nuovo bisogno emergente. Le modalità di contatto permettono, nella loro giusta flessibilità e modulazione nell’esperienza, un contatto sano e “nutriente” con l’esterno in una dimensione fluida del confine “Io-Tu“ mentre, a volte, il bisogno non trova piena soddisfazione a causa di interruzioni (resistenza al contatto) che possono essere individuate a livello delle diverse fasi del ciclo. Attraverso questo ciclo si realizza temporalmente la potenzialità del sé della persona. Il sé, come ci descrive Perls (1971), è “il sistema di consapevolezza al confine tra il sé e il non-sè”. La costante dialettica dell’individuo con il mondo, ‘il tra noi due’ (Buber, 1958/1984), il movimento in due tempi di contatto-ritiro, rappresenta l’elemento fondamentale dell’esperienza umana. A questo confine fluttuante in cui il sé e l’altro si incontrano e qualcosa avviene, la psicoterapia della Gestalt dà il nome di ‘confine di contatto’ . “Il confine di contatto è il punto in cui si sperimenta il me in relazione con ciò che non è me e, attraverso questo contatto, tutti e due sono sperimentati più chiaramente. Esso è essenzialmente l’organo di una particolare relazione dell’organismo con l’ambiente” (Perls, Hefferline e Goodman, 1951). Il processo di adattamento creativo e di crescita della persona si realizza al confine di contatto, ossia al confine dell’io della persona, che è determinato dalla sua esperienza di vita. La possibilità di crescita è in relazione alla sua capacità di assimilare le esperienze nuove o di intensificarle, attraverso un momento inevitabile di distruzione e/o di trasformazione delle vecchie modalità oramai inadeguate in nuove. Il confine dell’io non è fissato rigidamente e varia da individuo ad individuo. “L’esperienza del confine dell’io può essere descritta da: i confine della familiarità, i confini dei valori, i confini del corpo, i confine dell’espressione e i confini relativi all’essere esposti. (Poster, 1973, p.111). La psicoterapia della Gestalt aiuta il paziente a diventare consapevole  dei propri disturbi del contatto che gli impediscono una sana relazione con l’ambiente e una piena autorealizzazione di tutte le proprie potenzialità passando da una condizione di sostegno esterno ad  una autosostegno. Ciò si realizza attraverso situazioni esperienziali (esperimento) che agevolano il paziente nella  scoperta di nuove condizioni esistenziali. L’interesse metodologico è su ciò che avviene al confine di contatto tra il terapeuta e il paziente, nel “qui e ora” inteso come esperienza fenomenologica osservabile. “Lo scopo dell’approccio della Gestalt è di far scoprire, e sperimentare alla persona la propria forma, la sua interezza. L’analisi può costituire una parte del processo, ma lo scopo  della Gestalt è l’integrazione di tutte le sue parti. In questo modo le persone possono permettersi di diventare quello che già sono e quello che potenzialmente possono diventare. Questa pienezza di esperienza può dunque essere disponibile nel corso della propria vita che nell’esperienza del singolo momento” (Clarkson, 1989, p.15). La concezione gestaltista dell’essere umano come entità integrata corpo-mente è quella a cui si riconduce l’esperienza anche parcellizzata negli aspetti più propriamente intrapsichici o interpersonali che vengono a volte trattati in tempi diversi in terapia. Lavorare sulle differenti modalità di contatto del paziente diventa così solo un momento di un’esperienza più complessa e unitaria completa  qual è l’essenza del vivere umano. Attraverso lo sviluppo di un certo tipo di attenzione/consapevolezza è possibile un recupero dell’unità corpo-mente. La coscienza è, come dice Tart (1977, p. 25), “quella capacità di conoscere o sentire o capire o riconoscere che qualcosa sta accadendo”ed è una capacità che possiamo sviluppare “ma anche orientare dirigendo l’attenzione da una cosa all’altra.” Il Ciclo dei bisogni, il Ciclo di Contatto e il Ciclo di relazione. Nel corso degli anni la terapia della Gestalt ha subito delle trasformazione per meglio rispondere alle esigenze di disagio delle persone in riferimento alle influenze culturali delle varie epoche storiche. Brevemente si possono indicare gli interventi teorici più significativi

➡livelli esperienza                   

Immaginativo - cognitivo- verbale - emotivo - corporeo - sensorio  

 

➡funzioni di contatto              

parlare - muoversi - guardare - ascoltare  - gustare - odorare - toccare  

      

➡resistenze al contatto          

proiezione - introiezione - retroflessione - confluenza - deflessione 

       

➡ciclo dei bisogni/contatto    

ritiro - sensazione - mobilizzazione - azione - contatto - ritiro

 

➡ciclo di relazione                

ritiro (fase differenziazione)- tensione attivatrice - consapevolazza - attivazione risorse -contatto (fase appartenenza) - assimilazione - integrazione - identità - ritiro (fase differenziazione)                                                       

 

Il Ciclo dei bisogni introdotto da J. Zinker sosteneva che l’individuo, per soddisfare i propri bisogni, deve incidere sull’ambiente che rimane sullo sfondo. Il paziente, pertanto, mantiene l’attenzione sul proprio ‘continuum di consapevolezza’. L’intervento terapeutico è centrato sull’entrare in contatto con i propri bisogni profondi e sul capire l’interruzione che blocca il soddisfacimento degli stessi durante il ciclo (resistenza al contatto).

Successivamente, Miriam ed Erving Poster  elaborano un nuovo modello, il Ciclo di contatto, che introduce il concetto di multipolarità (‘Self-population’), ossia la compresenza di più bisogni a volte antagonisti tra loro, e il valore della soggettività, cioè del proprio significato del contatto tra io-tu, e delle azioni dell’individuo sull’ambiente. Come entriamo in contatto con l’ambiente? “Si osserverà la qualità del contatto o le resistenze al contatto, nelle specifiche e significative esperienze di una persona” (Signature, 2002, p.4). 

Il Ciclo di relazione elaborato dalla Gestalt Psicosociale (Menditto, Rametta, in Signature, 2002) integra le precedenti teorizzazioni in un nuovo modello che pone l’attenzione in particolare sullo scambio continuo individuo-ambiente, e “sulla necessità di mediazione tra il contatto col proprio bisogno e lo spazio comune condiviso nel campo relazionale (..) L’uomo può incidere nella propria vita ma non totalmente, perché anche l’ambiente incide su di sé “  (Signature, 2002, pp5-6).

La valorizzazione del contesto implica il suo riconoscimento nella formazione dell’identità della persona che si è andata configurando nella fitta rete di relazione che ciascun individuo ha avuto nel corso della sua vita. La nostra identità si arricchisce quando si mette in gioco e quando potenzia la sua capacità  a condividere con gli altri un’esperienza.

Nel lavoro di  “un intreccio continuo tra identità e relazione..la persona si ritira ed elabora l’esperienza in termini di significato, includendola nel proprio confine di contatto” (Signature, 2002, p.8), e mira a rinforzare i comportamenti di condivisione, e di costruzione di una consapevolezza del Noi.  Dalla fase di appartenenza, in cui si fanno esperienze e si sta in contatto con l’altro, si passa ad una fase di differenziazione, durante la quale l’esperienza fatta, attraverso un processo di assimilazione, integrazione e consapevolezza, diventa occasione di apprendimento di nuove forme di identità individuale. In questa nuova concezione la fase di ritiro assume un ruolo significativo per dare significato all’esperienza fatta.

 

Come sostiene Polter diventa importante la nostra rappresentazione mentale di quanto avvenuto perché essa di dà la possibilità di rinnovare la propria identità; diventa significativo, cioè, come ci raccontiamo e come riusciamo ad affascinare noi stessi e gli altri. “uno dei temi ricorrenti e più affascinanti dell’esistenza è la trasformazione dell’ordinario nel notevole (..) utilizzando lo stesso processo di selezione creativa caratteristico del romanziere, il terapeuta mette in rilievo le esperienze cruciali, facilitando in questo modo l’affiorare del dramma” (in Ariano, p.386). La fascinazione della narrazione consiste proprio in una nuova punteggiatura dei singoli episodi della nostra , passata e presente, sulla quale costruire una nuova identità. “Ognuno di noi reagisce in modo significativo quando l’esperienza attuale risponde al bisogno di ritrovare l’interesse per la propria vita, il proprio essere interessante e interessato… l’essere interessante è come una luce guida da cui tutto può essere illuminato, per diventare materiale del romanzo della propria vita..(..)..L'”here and now”(qui e ora), innovazione importante degli approcci umanistici, ma anche oggetto di equivoci che hanno portato alla reificazione del presente da una parte e alla glorificazione della mera “espressione dei sentimenti” dall’altra, diventa il “now for next” (ora in funzione del dopo) sottolineando l’”intenzionalità organistica” (Polster1987, p.8).

 

Episodi di contatto

Gli episodi contatto rappresentano i fatti reali di contatto che conferiscono drammaticità e pathos alla terapia. “Essi si svolgono secondo una sequenza di momenti che si collegano tra loro in una unità identificabili (..) gli episodi di contatto hanno tre caratteristiche principali: sintassi, rappresentatività e ricorrenza” (Poster, 1986, p.168).

La sintassi è la strutturazione ordinata e riconoscibile di ciascuna delle sue parti in relazione alle altre. Da principio, emerge un bisogno senza una particolare consapevolezza della persona e l’episodio di contatto porta al processo della sua espressione esterna al fine del suo soddisfacimento nonostante, a volte, le resistenze psicologiche dell’individuo lo blocchino sul nascere. Spesso si arriva ad una situazione d’impasse, quando le forze del bisogno e delle resistenze si equivalgono.  Diventa necessario allora cercare di dare un tema al contenuto del bisogno che preme per emergere ed il significato del tema è strettamente personale e acquista senso all’interno della cornice dell’episodio di contatto. Il tema riassume le tendenze dell’individuo a cercare la via per superare l’impasse fino a raggiungere, attraverso  un’ esperienza di insight emotivamente culminante, la capacità di provare sentimenti ed agire comportamenti precedentemente inaccessibili.  L’episodio di contatto termina con il riconoscimento dell’esperienza nuova con il conseguente allargamento delle possibili soluzioni del problema avvertito. La sequenza descritta può realizzarsi rapidamente oppure con un tempo più lungo e le fasi possono pure manifestarsi in un ordine diverso.

La rappresentatività indica il potere che l’episodio di contatto ha di condensare in una unità di tempo ridotta, quale è una seduta terapeuta, gli stili di contatto che la persona attua al di fuori della terapia nella vita reale. Per questo gli episodi di contatto rappresentano un’occasione importante di sperimentare nuovi aspetti di sé da vivere poi nella vita quotidiana. Quindi si possono indicare tre qualità che facilitano la rappresentatività del contatto terapeutico: l’insegnamento di abilità utili nella vita quotidiana, la funzione di attivazione, lo sviluppo di un nuovo senso di sé. L’insegnamento di nuove abilità può essere incoraggiato dal terapeuta, ma non con un atteggiamento direttivo; bisogna sempre rispettare i tempi del paziente e per questo l’obiettivo della terapia è quello di tentare di innalzare le soglie di rischio in una situazione sicura. Molte delle abilità apprese sono derivate dal processo di apertura o di liberazione del paziente per cui il problema si sposta dall’incapacità alla possibilità di attuare ciò che in terapia è stato fatto. 

L’attivazione delle risorse del paziente è una conseguenza di un’azione di stimolo del terapeuta. Questi comunica vitalità al sistema in difficoltà del  paziente ed è un indicatore della bontà del loro contatto. Attraverso di esso il paziente misurerà le sue capacità di stare in una situazione stimolante e sarà portato a sperimentare lo stesso atteggiamento nella sua quotidianità. Sia un atteggiamento affettuoso e di sostegno ma anche una condizione di frustrazione, che Perls definiva ‘frustrazione creativa’, diventano fonte di stimolazione. L’umorismo, ad esempio, è un altro elemento di grande attivazione che entra nell’episodio di contatto. Oltre ad essere una valvola di sfogo immediato, la battuta di spirito veicola velocemente una sensazione di condivisione della situazione e di alleanza che aiuta le persone ad avvicinarsi emotivamente l’une alle altre.

Un nuovo senso di sè  prescinde dai ruoli di fissità che a volte le persone recitano e si sentono cuciti addosso. L’immagine distorta di sé, a volte, viene costruita sulle informazione provenienti dall’esterno a cui noi diamo credito. Durante gli episodi di contatto in terapia allora possiamo scoprirci diversi da quello che credevamo e sperimentare parti noi più autentiche e rispondenti ai nostri veri bisogni.

La ricorrenza dei temi problematici si presenta quando le persone affrontano con una atteggiamento rigido, fisso nel tempo, i disagi che gli si presentano sempre uguali nel tempo. Nell’esperienza dell’episodio di contatto l’individuo può allargare i propri confini dell’io tanto da includere ciò che precedentemente non era possibile per lui assimilare. Riuscire a fronteggiare un problema assume un significato di speranza e di possibilità per risolvere progressivamente gli altri nodi problematici della propria vita.

Infine ci sono altri tre fattori che possono essere sia motivo di interferenza che di attrazione nello sviluppo degli episodi di contatto: l’amore, l’odio e la pazzia. La loro azione può essere di disturbo quando temiamo che trascendono i nostri abituali livelli di tolleranza. 

L’esperienza dell’amore permea la terapia ma si può imparare a distinguerlo dalla dipendenza, dall’ossessione e forse anche dalla sessualità. In terapia della gestalt cerchiamo di focalizzare la relazione per quella che è e, attraverso un buon contatto, la persona può riscoprirsi capace di amare e di vivere il sentimento dell’amore liberandolo dai preconcetti che accompagnano questo sentimento.

L’odio comprende una gamma di sfumatura quali la rabbia , il rifiuto , l’esclusione, il sospetto, l’animosità ed altre. Spesso questo sentimento nasce dopo la sedimentazione di parole, sentimenti gesti non espressi. Nell’episodio di contatto l’odio si manifesta come il desiderio di ostacolare il contatto, di reprimere la tendenza all’incontro con un'altra persona. All’odio è spesso associato ad un sensazione di timore per la forza distruttiva del sentimento e quindi cerca di confinarlo ed isolarlo dentro di se. La sua espressione quindi non deve essere indotta dal terapeuta ma ricercata  dal paziente  in u modo opportuno per preservare la sua integrità emotiva. L’episodio di contatto basato sull’odio può essere anche meno evidente. La passività di una persona, la dimostrazione palese della noia, o il ritardo ripetuto alle sedute possono rappresentare una forma di deflessione rispetto alla loro aggressività in modo da mantenere comunque un contatto minimo col terapeuta.

La pazzia  spaventa soprattutto le persone che cercano di stabilire con precisione il loro essere sani. Contare il proprio lato pazzo fa paura e quindi il timore avvertito dal paziente deve essere rispettato. Quando l’individuo si avvicina al  limite del suo confine dell’io si avventura verso l’ignoto e si può sperimentare la sensazione del rischio di annullamento e di disintegrazione. Nell’episodio potrebbe avvertire di stare a perdere la direzione della sua vita. Anche essere inadeguati  può significare per alcuni forme di mini-pazzie e perdere il controllo di se stessi. È importante allora sostenere l’attuazioni di mini-pazzie nell’episodio di contatto in una cornice in cui la mini-pazzia, completato il suo ciclo e quindi soddisfatta, può lasciare il posto ad altri self della persona. Queste esperienze diventano difficile da riproporre fuori della terapia perché l’ambiente esterno non è mai così supportivo come l’azione del terapeuta o del gruppo. Quindi la propensione alla temerarietà o alla cautela sarà un aspetto che implicitamente indicherà lo stile di vita. Né l’uno né l’altro sono esenti da conseguenze ed allora diventa importante riconoscere il momento per essere temerario o cauto nel proprio agire.      

 

L’esperimento

L’esperimento, insieme ai concetti di contatto e consapevolezza, rappresenta un elemento importante della metodologia della Gestalt. Esso, infatti, è un momento particolarmente creativo del processo terapeutico in cui la persona sperimenta nuove possibilità di allargamento del confine dell’io in un contesto di sicurezza. L’esperimento rappresenta il tentativo di contrastare l’atteggiamento delle persone di parlare sulle cose (aboutismo), invece di interagire attivamente con esse. I processi di apprendimento, infatti, implicano l’azione per la conferma di un comportamento che si pensa di saper gestire. Perls sostiene che “la parte più difficile dell’intero esperimento è quello di astenersi dall’intellettualizzazione e dal verbalizzare il processo in atto. Infatti ciò costituirebbe un’interruzione che scinderebbe lo stesso sperimentatore nello spettatore che spiega e nell’attore che sperimenta. L’esperienza non è soggettiva né oggettiva. Non è neanche introspezione. Semplicemente è. È la consapevolezza senza speculazione sulle cose di cui si è consapevoli” (in Ariano, p.352). 

Nello sperimentarsi il paziente si confronta con le situazioni difficili e/o irrisolte della propria esistenza esprimendo i propri sentimenti e le proprie azioni, avvertiti come paurosi e pericolosi e per questo quasi mai espresse nella realtà, in una situazione di protezione e sicurezza. 

Nell’esecuzione di un esperimento suggerito dal terapeuta il paziente non imita, non “scimmiotta” un comportamento, ma entra in contatto con zone inesplorate di se stesso, e sperimenta, nel presente della terapia, i connotati emozionali di quella esperienza e la sua capacità a sostenerne l’impatto. Egli vive, nel qui e ora, un comportamento poi trasferibile anche all’esterno. L’esperimento, allora, può rappresentare la preparazione ad un contatto futuro e può stimolare l’autosostegno della persona e la sua ingegnosità precedentemente bloccata. “L’esperimento può prendere diverse forme. Le abbiamo considerate nelle seguenti modalità: rappresentazione, comportamento diretto, fantasia, sogni e compito”  (Polster, 1986, p.231).

La  Rappresentazione consiste nella drammatizzazione di alcuni aspetti dell’esistenza del paziente.  Può interessare: 

•una situazione inconclusa del passato, nella quale il paziente recupera ciò che ha perso nella realtà prima di arrivare in terapia; 

•una situazione inconclusa del presente, per cui la rappresentazione può essere una situazione che agevola un’esperienza senza farle perdere il suo effetto illuminante sulla persona coinvolta;

•la caratteristica della persona, per cui la rappresentazione può aiutare a vivere tutte le sfaccettature della propria individualità, a ogni livello esperienziale. A tal fine l’uso della metafora, sia come autodescrizione sia come indicazione da parte del gruppo, si dimostra una fonte assai ricca di informazioni da esaminare.

•l’aspetto della polarità della personalità, per cui si drammatizzano caratteristiche personali che spesso risultano essere diametralmente opposte  ma che convivono in essa come parti scisse non integrate.
Attraverso il dialogo delle polarità (delle parti) l’intervento terapeutico è finalizzato a ricontattare le parti in ombra o sullo sfondo, rappresentandole e dando loro voce e pari dignità al fine di creare una proficua alleanza e integrazione tra loro. 

Il comportamento diretto rappresenta un’occasione per il paziente di provare nella seduta modi di essere che quasi sempre vengono da lui evitati e non un indottrinamento prescrittivo delle cose da fare al di fuori della seduta.

La fantasia infonde forza mediante l’intensificazione dell’esperienza fantastica. Essa può essere utilizzata per molteplici finalità: per entrare in contatto con sentimenti a cui si oppone resistenza, oppure con persone o con situazioni non concluse che non sono più disponibili perché appartengono al nostro passato, oppure per completare un’esperienza con qualcuno o con qualcosa.

Attraverso la fantasia l’esplorazione dell’ignoto diventa occasione di preparazione e di  apprendimento di azioni future, così come nello sport si utilizza l’allenamento ideomotorio nella preparazione mentale della gara. Tali preparativi non predicono i nostri comportamenti futuri ma hanno senz’altro l’effetto di potenziare le nostre capacità di contattare il nostro lato creativo che ci potrà consentire di rispondere in maniera più articolata alle richieste esterne esplorando aspetti nuovi di noi stessi che ci possono consentire di leggere in maniera diversa la realtà uscendo fuori da un modo troppo familiare di affrontare le situazioni.

I sogni sono una  fonte inesauribile di situazioni per lavorare in terapia. Perls (in Polster, p.259) sosteneva che il sogno, in tute le sue componenti, è una proiezione, è una rappresentazione di chi sogna. “ciascuna parte del sogno sia una parte di te stesso- non soltanto la persona ma anche ciascun dettaglio, ogni moto affettivo, qualsiasi cosa che sia lì….in terapia faccio rappresentare al paziente tutte queste parti, perché soltanto calandosi veramente in esse si può ottenere la piena identificazione, e l’identificazione è l’opposto dell’alienazione…ossia di qualcosa che non mi appartiene…tutta la mia tecnica va sviluppando sempre di più l’idea che mai bisogna interpretare. Bisogna semplicemente dare un feed-back, fornire all’altro l’opportunità di scoprire se stesso”. 

Nel lavoro con il materiale del sogno il terapeuta ha la possibilità di scegliere su cosa focalizzare l’attenzione nel rispetto del bisogno del paziente e delle circostanze del momento. Oltre alla concezione del sogno come proiezione, si può considerare anche il significato di per sé dell’immagine onirica. Essa può rappresentare un messaggio esistenziale sulla vita della persona e può essere l’immagine della sua esistenza attuale. 

J. Zinker, nel suo metodo di lavoro con i sogni, coinvolge attivamente i membri del gruppo facendogli rappresentare le diverse parti del sogno stesso. Con questa modalità le persone coinvolte nella drammatizzazione possono avvertire delle somiglianze e delle risonanze emotive con quanto rappresentato. Perciò, l’elaborazione dell’esperienza riguarderà non solo l’autore del sogno ma anche indirettamente gli altri membri del gruppo. I compiti, infine, sono da intendersi come un proseguimento della terapia nella vita di tutti giorni poiché ciò che si mobilità in seduta ha sempre delle ripercussioni nel mondo esterno. Il paziente può monitorare le sue azioni al di fuori della seduta aumentando la consapevolezza del proprio agire sotto l’influsso orientante del terapeuta. È un po’ un allenamento esperienziale quotidiano delle proprie abilità psicologiche superando quello che Perls definiva “la masturbazione mentale dell’individuo sui problemi” ossia  di giri mentali senza azione. “Tale esperienza esterna si concentra sull’area critica e conflittuale propria del paziente. È un comportamento che si proietta verso il futuro del paziente- e come tale  si basa sull’esperienza della terapia, sondando però un’area che richiede comportamenti nuova…le possibilità si susseguono senza fine, collegandosi sempre con la direzione che emerge dalla persona stessa e mettendo questa in situazioni in cui deve affrontare aspetti di se stessa che bloccano il suo movimento o la sua consapevolezza” (Polster, 1986, p.272).

 

(Dott. Carlo Benedetti Michelangeli)